Capovolta
giugno 2006
Nel chiostro di villa Vogel si sono già viste presenze di artisti contemporanei, capaci di sollecitare forti e divaricate impressioni, e che, comunque, hanno contribuito ad avvicinare il pubblico alla lettura critica del nostro tempo che l’arte propone sempre, in modi diversi a seconda delle linee di ricerca, ma tuttavia capaci di farci controllare “il polso” del nostro vissuto.
L’installazione proposta quest’anno, di Isanna Generali, un grande materasso in forma di croce “capovolta” (Capovolta è anche il titolo intrigante e conflittuale del lavoro) che scende dall’alto, in diagonale, al centro del chiostro, parla un linguaggio diverso, esprime un dolore sordo, una rabbia acuita dall’impotenza, riuscendo a raggiungere una simbologia cupa e violenta, che, nella trasfigurazione artistica, si travasa in poesia. Il riferimento di questo lavoro, già presentato, in termini variati, nel 2000, alla manifestazione fiorentina “Contro la pena di morte”, è stato il ritrovamento del corpo di una prostituta nigeriana, in una discarica, sopra un materasso sporco.
L’arte si fa, qui, “denuncia”, e, come spesso ripeto, “specchio della realtà”.
Isanna Generali lavora spesso su questo versante. E lo fa con una forza, una passione, che non troviamo spesso nel “fare arte” di una donna.
Anche se è pur vero che la sua attenzione si rivolge spesso alla condizione femminile, con riferimento, peraltro, all’essere donna come “persona”.
Scriveva Virginia Wolf negli anni Venti: “Ho i sentimenti di una donna, ma solo il linguaggio degli uomini”. Credo che questo non preoccupi affatto Isanna Generali, che sta sempre, inequivocabilmente, dentro il linguaggio dell’arte, quali che siano i temi che affronta, dal suo cogliere i particolari del corpo (i piedi, simbolo del cammino, le mani, come quelle, nel gesto umanissimo di offerta, della Maddalena Cozzarelli, riscoperta, restaurata, al Museo delle Pietre dure di Firenze); ma anche grandi, lunghissime vesti femminili, con maniche che arrivano a terra, fantasmi senza tempo. E strumenti legati alla vita e alla sua difficoltà, grandi tavoli sghembi (L’apparecchiata – “Chi m’ha riempito il piatto di sassi? M’hanno / riempito il piatto di sassi”). E strumenti propri della cultura materiale, duri, scabri, intenzionalmente deformati, con un tocco di sarcastica ironia. Ma anche oggetti della memoria, come quelli che chiama “Teatrini”, successioni scalari di pellicole sul volto della madre…
La materia occupa molto spazio della sua esperienza. Essa cerca di scoprirne le valenze fisiche e i suoi significati metaforici. Come nella vita reale combina cose e materiali diversi, giocando sulla memoria collettiva e su quella legata alle sensazioni individuali. Secondo la sua concezione di arte questa consiste nel creare o cambiare forma, perché ogni cambiamento “consapevole” e libero della natura caratteristica di una cosa è attività artistica.
Il suo appare, sempre, come una sua necessità di travasare nell’operazione artistica il senso della vita, facendo prevalere, comunque, e a costo di grande sofferenza e sacrificio, la sua immersione totale nel concetto di vita come arte.
Lara-Vinca Masini
Firenze giugno 2006